Mr. C-19
- Giulia Ferrara
- 6 mar 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Un anno fa usciva il primo di una serie di tanti decreti che decretavano la chiusura della scuola. Oggi, a un anno da questo primo provvedimento, vediamo le scuole tornare a chiudere i propri cancelli una dopo l’altra. Ma cosa è successo in questi 366 giorni? Ripercorriamo insieme gli eventi di questo strano periodo con una manciata di leggerezza e un pizzico di ironia...
Ammettiamolo: tutti pensavamo che la cosa si sarebbe risolta in breve. Siamo partiti dall’idea di chiudere la scuola per sole due settimane e poi… e poi lo sappiamo. Sembrava quasi fosse una pausa dalla frenesia della vita, ci scambiavamo la fatidica frase “Andrà tutto bene”, avevamo quello strano (ora mi sembra quasi buffo) senso di unità che ci portava a fiondarci sul lievito di birra e sulla farina (neanche fosse stata annunciata una carestia) e a cantare alle sei di ogni sera “Ma il cielo è sempre più blu”, “Azzurro” e tutte le altre tonalità del celeste (Picasso sarebbe stato fiero di noi e sicuramente avrebbe trovato ispirazione per qualche quadro da periodo blu). Vedevamo immagini drammatiche ogni giorno, ma erano immagini che, lontani da Bergamo e Brescia, non davano quel senso di terrore che avrebbero dovuto produrre nell’animo. Aspettavamo quasi con impazienza la conferenza delle sei, come fosse la nostra serie TV preferita; ci offendevamo se mancava il protagonista del telefilm “Bollettino della protezione civile” Borrelli; restavamo svegli la notte per non perderci nessun episodio de “Il Decreto”, che puntualmente doveva uscire alle otto e poi, poiché tanto puntuale non era, veniva fuori alle due di notte. Facevamo chiamate Skype e cenavamo virtualmente con i parenti di giù, quelli di su, quelli che abitano a dieci minuti da casa e, perché no, quelli di Lussemburgo. Facevamo le passeggiate avanti e indietro per i balconi (o almeno i più fortunati) e guardavamo all’estate come la fine di tutto.
L’estate è iniziata e quasi ci ha fatto credere che veramente sarebbe finito tutto lì. Anche i più scettici e timorosi hanno ricominciato ad uscire e addirittura ci siamo permessi un paio di cene in pizzeria e di toglierci la mascherina prima di andare a farci il bagno a mare o di addentare un panino.
È arrivato settembre e con lui l’inizio della scuola. Se non per qualche mascherina di troppo e gente di meno potevamo credere quasi in una parvenza di normalità.
E poi (senza fare alcuna anticipazione) abbiamo visto salire i contagi negli altri paesi, ci sentivamo immuni, ci autoelogiavamo e ci elogiavano. Dopo aver vissuto l’errore di aver pensato che il problema fosse in Cina, siamo ricascati nel medesimo tranello (probabilmente uno sgambetto fatto da noi stessi). E pensando che la rogna fosse della Spagna, della Francia e dell’Inghilterra ci siamo fatti assalire e fatti trovare indifesi da quella che abbiamo conosciuto con il nome di seconda ondata.
I casi toccano cifre a malapena immaginabili da una mente umana, le scuole chiudono nuovamente. Intanto il Natale si avvicina e lo aspettiamo come aspettavamo l’estate: come se nelle feste il virus andasse dai parenti e ci lasciasse un po’ in pace. Escono i decreti "A Natale, a Natale si può fare di più!", valgono i famosi buoni propositi “A Natale dobbiamo essere tutti più positivi” (in tutti i sensi) e nonostante si sappia che il colore del Natale è il rosso ci ritroviamo tutti in giallo (che alla famosa signora le facciamo un baffo). Fra l’istinto represso di togliere quei maledetti CD natalizi alla classe dirigente, che sembra seguire più lo spirito natalizio che il comitato tecnico-scientifico, spunta fuori la presa di coscienza del fatto che anche noi (sì noi che abbiamo sempre odiato tutte quelle tradizioni) abbiamo una voglia matta di fare l’albero di Natale e di friggere grispelle e tante altre cose che non abbiamo mai fatto ma che ora ci sembrano essenziali.
Mentre fuori compaiono le decorazioni natalizie i “Numeri della pandemia” (come si sfiziano a chiamarli nei telegiornali) toccano cifre spaventose. Ci arriva notizia del figlio del collega che si è ammalato, dei genitori dell’amica che sono morti, della vicina di condominio in terapia intensiva. Sentiamo Mr C. 19 suonare al campanello della porta e… per fortuna era un’allucinazione. Fatto sta che noi che eravamo chiusi nel nostro piccolo guscio (da poter dare lezioni alle chiocciole) ci avvolgiamo con qualche coperta in più, abbracciamo il termosifone (perennemente spento, ma è l’unico abbraccio possibile in questa situazione) accarezzando quella povera orchidea che per il caldo ci sta lasciando le penne (o forse sarebbe più adatto dire petali).
Vengon fuori i vaccini e frasi come “Evviva! L’Italia rinasce con un fiore!” (sperando che quel fiore non sia la mia orchidea). Evviva! Evviva! Italia Viva! Mentre noi siamo ancora sotto le nostre copertine a bere tisane calde, un figuro che ci par meglio non citare decide che vuole l’Italia Morta. Tutto si placa con il Natale eccetto la fantasia dei piani alti che elabora un complesso codice stradale fornito di semaforo giallo, rosso e arancione. Ma se già pedoni come noi hanno difficoltà a capire che si attraversa con il verde, come dire al nostro caro nemico di disavventura che in zona gialla usciamo noi e lui se ne deve stare chiuso in casa? Ovviamente lui si sente escluso dalla festicciola e decide di far di testa sua e i “decreti semaforini” sceglie di lasciarli al genere umano.
Gennaio inizia bene in tutto il mondo, fra emergenze umanitarie a due passi da noi, manifestazioni al Campidoglio nel paese più ricco del terzo mondo e aerei che precipitano. In tutto questo la scuola è “pronta” per la riapertura quando si annuncia il posticipo della ripartenza: chi l’undici, chi il diciotto, chi il venticinque, chi si spinge a febbraio, chi a dodicembre. Gli studenti scioperano: “Vogliamo sicurezza” “Vogliamo la DAD” “Vogliamo tornare a scuola” “Vogliamo più mezzi pubblici” “Vogliamo un unicorno che salta su montagne di pizza margherita e patatine”; la stampa riassume tutto in “Gli studenti contro la DAD”. Se la colpa è di un’informazione malinformata o manipolata non è dato saperlo, fatto sta che mal informa e della moltitudine di casi nelle scuole non viene fuori neanche una virgola.
L’evoluzione della scienza ci ha permesso di elaborare dei vaccini, la regressione della società umana fa sì che quegli stessi vaccini, per interessi prettamente economici, siano disponibili in piccole dosi. Noi italiani stavamo sembrando veramente troppo seri davanti all’Europa così, invece di “non perdere tempo nell’ inseguire illusori vantaggi di parte” come ci suggerisce la saggezza del nostro presidente, iniziamo a mettere in scena un bel teatrino: perché in fondo, fra Eduardo De Filippo, Carmelo Bene, Pulcinella e Colombina, abbiamo una grande tradizione artistica.
L’Illustrissimo ed Eccellentissimo signor Conte di Volturagnola, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranova, grande Ammiraglio (…), insomma viene spodestato. Ma niente paura: è arrivato il pater patriae! È arrivato SuperMario! C’è chi si vanta di aver ottenuto ciò che voleva e di aver sempre saputo quale eminente figura facesse al caso dell’Italia, senza pensare che i Greci avevano già previsto tutto 2700 anni fa con Dra(ghi)Conte.
Breve resoconto di un lungo anno bisestile di 366 giorni (ci si è messo in mezzo pure il 29 febbraio!)
N.d.N. (nota di Nessuno): Se si è scherzato su qualcuno non lo si voleva né offendere né disprezzare: ben vengano conti, marchesini, dragoni, principi e principesse se son capaci di levarci dall’impiccio.
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